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Devota, combattente, ospitale. Benvenuti in Baronia.

Se per opera d’arte si intende un documento in grado di restare immortale nel tempo, il vero capolavoro capace di raccontare la Sardegna, non è Canne al vento del Nobel Grazia Deledda, ma lo stesso popolo sardo.

Parlare di Sardegna tout court, potrebbe parere un’eresia; in verità, c’è una parte di Sardegna, miracolosamente rimasta illesa dai mutamenti del tempo. Ed è quella Sardegna descritta nel celebre romanzo, fin da allora ostinatamente legata alle proprie origini, remota, selvatica: la Baronia.

La storia antica di quelle zone, così impervie e misteriose, così come i fatti più vicini al nostro tempo, consegnano l’immagine di abitanti che sempre hanno combattuto e lottato. Per difendersi da invasori, per tutelarsi dal dispotismo dei padroni.

O più semplicemente per proteggere qualcosa, forse un valore e un attaccamento, che oggi chiamiamo tradizioni, ma che per loro era ed è ragione di vita.

“Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava piú suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo.”

E a giudicare oggi, dopo secoli e secoli, dal placido silenzio delle siepi dei fichi d’india, si potrebbe asserire che il vero capolavoro lo hanno “scritto” gli stessi sardi, generazione dopo generazione, tutelandosi dalle insidie del mondo, e dalle sue minacce.

Furono i sardi stessi a difendersi dalle invasioni. Un popolo che sempre si mostrò devoto alla tutela del proprio ecosistema culturale, sempre in lotta.

Vi è poi, più o meno dalla caduta dell’Impero Romano, una forte componente spirituale che caratterizza ancora oggi i rari abitanti dei piccoli borghi della Baronia: la fede.

Una fede potente, semplice: e nulla è in grado di testimoniarlo come le antiche chiese che il territorio custodisce: semplici eppure potenti, dense di un sentimento vero, come le magistrali parole della Deledda, raccontano:

Il silenzio e la frescura del Monte incombente regnavano attorno: solo il gorgheggio delle cingallegre in mezzo ai rovi animava il luogo, accompagnando la preghiera monotona delle donne raccolte nella chiesa. Efix entrò in punta di piedi, con la violacciocca fra le dita, e s’inginocchiò dietro la colonna del pulpito.

La Basilica cadeva in rovina; tutto vi era grigio, umido e polveroso: dai buchi del tetto di legno piovevan raggi obliqui di polviscolo argenteo che finivano sulla testa delle donne inginocchiate per terra…

Luoghi sacri rimasti intatti, ormai parti integranti del paesaggio, come fossero alberi, fiumi o campi coltivati. Come la cattedrale di San Pietro, la chiesa del Santissimo Crocifisso o la chiesa Santa Croce a Galtellì.. tutte documentano il modo unico che hanno i sardi di vivere la propria cultura devozionale.

Che altro dire?

A chi intende viaggiare per la Baronia, non resta che una sola e semplice raccomandazione: che vogliate visitare le chiese, i borghi, le spiagge vergini o le rocce del monte Tuttavista, abbiate sempre il massimo rispetto: state camminando sulle terre di chi ha sempre lottato per difenderle, e consegnarle intatte fino ad oggi, vive e intatte come Canne al vento.